È lei!

È lei!

giovedì 18 aprile 2013

l'uomo di lettere deluxe edition: la palestra

L'uomo di lettere è un animale che si adatta facilmente ai cambiamenti. 
Quando si rende conto che il territorio normalmente frequentato dalle prede si fa arido e secco, mentre lui si fa sempre più canuto e bianco con troppi chiodi lasciati imbattuti alle spalle...mi si scatena. Cambia repentinamente. Sarà che a suon di bere vino scadente declamando poesie che non aveva mai letto se non qualche attimo prima j'è venuta la panza. No, cioè, scusate: sembra che si sia mangiato il globo dell'Atlante Farnese. E le prede stanno come d'autunno sugli alberi le foglie, e l'invida aetas passa inesorabile. Allora cambia. 
L'uomo di lettere non si estinguerà mai: è pieno di risorse.
Va in palestra. 

Ho detto: "Va in palestra".

Allora, l'uomo di lettere, in palestra, è riconoscibile come la ricevuta di una raccomandata nella cassetta della posta. Sai che, inevitabilmente, ci sarà da frantumarsi le palle. 
Intanto, l'uomo di lettere fa la cyclette. Leggendo un libro. Kafka, ti immagini. 
Ah, e ha una tuta di felpa di quelle che ci costringevano a mettere alle elementari, umiliandoci di fronte ad i compagni più cool che avevano le tute Adidas. 
Fa la cyclette, leggendo un libro, con i pantaloni di felpa di una tuta che avrà indossato l'ultima volta sul Carso, prima dell'ultima battaglia dell'Isonzo, e ha una maglietta di un gruppo rock che non ha mai ascoltato o una maglietta bianca talmente lisa da essere diventata orrendamente trasparente. 
Casistica vuole che l'unico tapis roulant libero confini a ovest con la sua cyclette. 
Curiosità ti spinge a sbirciare il titolo del libro che legge. I lettori lo fanno, ho anche letto un racconto che diceva una cosa del genere e mi ha esalatata moltissimo. 
Sei sulla cyclette, con i pantaloni di felpa di una tuta che ha fatto la Quarta Battaglia dell'Isonzo, con una maglietta lisa e fracica (passatemelo, è per la scienza) e cosa leggi? Minimo minimo, uno si aspetta che tu legga Hegel. Per ricordarti che è meglio pedalare. 
Storia Sociale dell'Arte, Hauser, un'edizione economica Einaudi che s'è scampata il Carso di poco. 
Il radical chic compra sempre libri usatissimi.
Sguardo compiacente. Sì, baby, sto leggendo la Storia Sociale dell'Arte. Vuoi che ti porti ad un noiosissimo vernissage dove potrò ipnotizzarti con idiozie lette e mescolate dadaisticamente nella mia testa? Sono quello giusto.  
Ma io c'ho i piercing e sono tatuata, in palestra ho la canotta da muratore e occhi solo per me stessa davanti allo specchio mentre faccio squat. 

Quanto mi da fastidio. Vuoi fissare il vuoto e auentare la resistenza? Brucia, dimagrisci, suda, fatica!
 
Ha puntato una. È radical, lei, è entrata prima con una borsa della forma e del colore del divano della sala d'attesa del mio medico curante, un paio di mary jane di vernice [Thor sa quanto le detesti] e, soprattutto, un libro sotto braccio. Comincio a pensare di essere in biblioteca. 
L'ha puntata, si vede. Lei lo vede. Lei sparisce, si cambia, e infine si palesa. 
Comincio a defaticare sul tapis roulant. 
Lei torna con un paio di superga, la tuta di felpa e una maglia bianca completamente lisa, ma ha il suo libro, un romanzo post trascendentale ambientato nella Germania dell'Est, quasi sicuramente. Appoggia le sue cose su una cyclette, lui si pulisce gli occhiali, raddrizza la schiena, aumenta la resistenza, è pronto all'attacco.

Lei sistema bene l'asciugamano, il cellulare, l'acqua Vitasnella, è pronta, comincia a pedalare. 
Approccio in tre, due, uno... "Mh, che cosa leggi?"

Defatico ancora l'I-pod mi propone "Eat you Alive" dei Limp Bizkit, mentre il miracolo della natura si compie poco distante dalla mia postazione. 

Scendo. Lei mi guarda con complicità, lui con sufficienza.
Anvedi che affare che avete fatto.

Signora radical, sentiammè: fai un po' di pulley down, che c'hai le braccia di pasta filante. 
 
 









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