È lei!

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venerdì 17 maggio 2013

Voce dotta

Dobbiamo partire dal Latino, come sempre.
Per farla breve, ad un certo punto abbiamo smesso di parlare Latino e abbiamo cominciato a parlare Italiano. Cos'è successo? Ci siamo scocciati delle declinazioni, abbiamo cominciato a creare gli articoli dai dimostrativi eccetera. Facendo ciò, abbiamo modificato, a suon di parlare, il timbro delle vocali. Non è che è successo per tutte tutte le parole, solo per quelle che sono state smaneggiate dal popolo.
La maggior parte delle parole che ci sono arrivate, invece, sono cultismi o latinismi, parole che, invece che da generazioni e generazioni di parlanti, ci sono state trasmesse dai libri e, ad un certo punto del Medioevo, sono state infilate con nonchalance "nel sistema grammaticale dell'italiano" (1). A nessuno è venuto in mente che, per statistica, chessò, la Ŏ tonica latina era diventata una O aperta o che, chessò, la labiale sonora intervocalica si spirantizza (vuole semplicemente dire che la B latina, tra due vocali è diventata V in Italiano - HABERE>avere, tipo.)
Ecco, la voce dotta è quella che è arrivata nell'Italiano di oggi attraverso i libri. Sennò ci sarebbe arrivata, magari, ma sarebbe diversa. 
Quando succede che arrivino le due versioni della stessa parola, quella popolare e quella dotta, il grammatico storico mi si esalta e comincia a parlare di allotropi.
Un esempio solo: VĬTIUM. La trasmissione orale l'ha reso "vezzo" (Ĭ breve latina diventa E chiusa in Italiano, mentre, in posizione intervocalica il nesso T+j (che non si legge "gèi", ma "iòd" e indica una semivocale) si trasforma, succede una cosa che non può succedere in medicina, che si chiama assibilazione. La T+jod diventa Z, ma non so se vi interessava). Ma esiste anche "vizio". Magia.

(1) Serianni L., Lezioni di Grammatica Storica Italiana, Bulzoni Editore, Roma 2005, p. 38

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